Ötzi al Museo Archeologico
“Ötzi”, l’Uomo venuto dal ghiaccio: un fascino archeologico
5 milioni di visitatori in 20 anni: tanti ne ha realizzati il Museo Archeologico dell‘Alto Adige dalla data della sua apertura al pubblico il 28 marzo 1998. La celebre mummia del Similaun, l’Uomo venuto dal ghiaccio ospitato nel museo, rimane ancora la principale meta di molti turisti in visita nella città di Bolzano. Ideato nel 1998 come spazio espositivo dedicato all’archeologia dell’arco alpino meridionale, il museo dedica, a partire dal febbraio 2013, tre quarti della propria esposizione permanente al tema dell’“Uomo venuto dal ghiaccio”. Nell’ultimo piano vengono presentati periodicamente altri reperti provenienti da scavi altoatesini, con temi espositivi che variano di anno in anno. Attualmente si discute su una possibile nuova ubicazione del museo che permetta di esporre in spazi espositivi adeguati e in modo permanente sia la mummia e il suo contesto, che altri temi di archeologia locale.
L’Uomo venuto dal ghiaccio è illustrato in ogni dettaglio: il suo profilo medico e antropologico e le caratteristiche del magnifico corredo di indumenti e di attrezzi che aveva con sé al momento della morte sono resi comprensibili al pubblico integrando reperti, testi didattici e postazioni video e multimediali. Il fascino che emana la mummia più antica del mondo è tuttora fortissimo. Lo attestano le reazioni degli stessi visitatori: a colpirli non è soltanto il faccia a faccia con la mummia dell’Età del rame, ma anche il suo ricco equipaggiamento perfettamente conservato.
“Ötzi” era equipaggiato nel migliore dei modi per la permanenza in alta montagna. Il suo vestiario comprendeva calzature, leggings, perizoma, sopravveste, graticcio d’erbe e berretto di pelo d’orso. I materiali usati sono pelliccia e pelle di cervo nobile, orso, capra, pecora e bovino. Ciò permette di delineare un quadro piuttosto completo dell'abbigliamento dell’età del rame nell’area alpina, finora quasi del tutto ignoto. La tecnica di taglio, le accurate cuciture e l'abile lavoro d'intreccio testimoniano l'esistenza, in quel tempo ed in quella cultura, di una rigorosa specializzazione del lavoro. Completano l’equipaggiamento dell’Uomo venuto dal ghiaccio un arco non finito, una faretra con frecce, un’ascia immanicata di rame, un pugnale di selce con fodero, un ritoccatore, contenitori in corteccia di betulla, una gerla, punteruoli d’osso ed altro ancora.
Presentazione della mummia al Museo
L’Uomo venuto dal ghiaccio è un importantissimo ritrovamento archeologico la cui esposizione pubblica contempla tuttavia delle problematiche etiche e può urtare le diverse sensibilità. La forma scelta dal museo per presentarlo è perciò del tutto riservata e discreta. Le pareti completamente bianche evocano gli spazi di un paesaggio innevato. Grafica ed architettura non entrano in concorrenza con la mummia, collocata in un ambiente absidale appartato. La mummia è visibile nella sua cella di refrigerazione solo attraverso una finestrina di 38 x 40 cm ed è il visitatore stesso che decide se soffermarvisi o meno.
Per evitare l'essiccamento della mummia, è necessario ricreare condizioni di conservazione le più vicine possibile a quelle all'interno di un ghiacciaio, cioè -6° Celsius e umidità relativa che sfiora il 100%. Per l'esposizione nel museo è stato sviluppato un apposito sistema di raffreddamento: una sorta di "box" composto da due celle frigorifere indipendenti, un laboratorio e una stanza di decontaminazione. Tutti gli ambienti sono sterili, speciali filtri per l’aria garantiscono le condizioni di asetticità. Una serie di sensori trasmette alla stazione EDP i valori registrati (pressione, temperatura, umidità relativa, peso corporeo). Contro le perdite di umidità viene spruzzata sul corpo mummificato acqua sterilizzata, favorendo così la formazione di un sottile strato di ghiaccio superficiale.
A differenza degli altri settori del museo, l’illuminazione del piano dedicato all’Uomo venuto dal ghiaccio è bassa e soffusa. Più che di un espediente scenografico, si tratta di una esigenza conservativa, in quanto i reperti esposti sono estremamente fotosensibili. Il corredo dell’Uomo venuto dal ghiaccio è conservato sotto azoto in speciali vetrine climatizzate ad una temperatura di 18° Celsius. Ad illuminare i reperti provvedono delle lampade a fibre ottiche da 50 Lux.
Infine, delle videoproiezioni illustrano su schermi la scoperta e il recupero dell’Uomo venuto dal ghiaccio. Al termine della sezione, la “discovery room” offre la possibilità di toccare con mano provando una ricostruzione del suo mantello.
Risultati della ricerca e analisi attuali
Le più sofisticate tecniche di indagine al servizio della scienza medica sono in grado di fornirci un quadro antropologico più che soddisfacente della mummia. L’Uomo venuto dal ghiaccio era un maschio adulto, alto circa 160 cm, ed al momento della morte doveva avere all’incirca 46 anni. Un’età ragguardevole in un’epoca, l’inizio dell’età del Rame (3300-3100 a.C.), in cui l’aspettativa di vita media non era superiore ai 30-35 anni. Dal quadro clinico emerge che egli era in buona salute, benché non manchino prove di una malattia cronica non meglio identificata ed indicatori degenerativi dovuti all’età con manifestazioni di stress psico-fisico nelle settimane immediatamente precedenti la morte. L'analisi del contenuto intestinale ha evidenziato la presenza di uova di tricocefalo. Nei casi più gravi, questo parassita può provocare attacchi di dissenteria e forti dolori. Le caratteristiche fisico-genetiche corrispondono bene a un tipo antropologico alpino.
Ricerche sugli isotopi hanno rivelato che l’Uomo aveva passato la sua infanzia a sud dello spartiacque alpino, molto probabilmente nella Val d’Isarco o Val Pusteria. In età adulta era poi passato in una zona diversa: è ancora oggetto di studi se si possa trattare della Val Venosta.
Indagini radiografiche e tomografiche hanno evidenziato la presenza di una punta di freccia nella spalla sinistra. Trafiggendo il corpo, la freccia ha prodotto un foro di circa 2 cm nella scapola. La punta ha danneggiato un’importante arteria causando un rapido dissanguamento. Pur non avendo leso organi vitali, è ragionevole supporre che essa abbia prodotto una ferita letale per l'Uomo venuto dal ghiaccio. Nel 2007 nuovi esami hanno rilevato un trauma cranico precedente alla morte. Se ciò permette di gettare una nuova luce sulla tragedia personale dell’Uomo venuto dal ghiaccio, suscita tuttavia nuovi interrogativi sulla causa della sua morte violenta.
Il movente del delitto è ancora oscuro. Si sa soltanto che la freccia fu scoccata da una distanza di circa 100 m. Una ferita da taglio piuttosto profonda sulla mano destra lascerebbe intendere che l’Uomo venuto dal ghiaccio fu impegnato in una colluttazione alcuni ore o giorni prima di morire. I pollini di carpinella nel suo intestino e le foglie d’acero di montagna, colte fresche dall’albero, permettono di fissare con buona approssimazione il momento della morte all’inizio dell’estate.
Nell’autunno del 2010, vent’anni dopo il ritrovamento, la mummia è stata “scongelata” a Bolzano da un team di ricercatori per un breve periodo di tempo e in maniera controllata, allo scopo di prelevare svariati campioni di tessuto per ulteriori indagini scientifiche. Alcuni di questi campioni sono stati inviati per analisi a istituti indipendenti, mentre i restanti sono stati conservati per essere successivamente assegnati dopo il vaglio dei progetti di ricerca pervenuti.
Nello stesso anno è stato possibile rilevare per la prima volta, nel corpo apparentemente privo di sangue dell’Uomo venuto dal ghiaccio, la presenza di materiale ematico sotto forma di globuli rossi, per forma e dimensione assolutamente identici ai nostri eritrociti. La presenza di fibrina – una proteina che si disgrega molto rapidamente dopo la coagulazione del sangue – nell’area della ferita ha inoltre permesso di confermare che Ötzi non è sopravvissuto a lungo dopo essere stato colpito dalla freccia.
L’ultimo pasto: carne di stambecco
Una ripetuta valutazione delle radiografie effettuate sull’Uomo venuto dal ghiaccio ha consentito di individuare lo stomaco che, contrariamente alle precedenti ipotesi, conteneva abbondanti resti di cibo. Dalle analisi si evince che il suo ultimo pasto, consumato al più tardi un’ora prima della morte, fu a base di cereali e di carne di stambecco e di cervo con un elevato contenuto di grassi.
Cosa rivela il DNA
Fino a qualche anno fa era ancora impensabile decodificare il DNA nucleare frammentato di un uomo di 5300 anni fa. Quando nel 2011 il Laboratorio per il DNA antico dell’Istituto per le mummie e l’Iceman dell’EURAC (Bolzano), in collaborazione con un team internazionale di ricercatori, riuscì a isolare il genoma dell’Uomo venuto dal ghiaccio, la sensazionale scoperta ebbe risonanza internazionale. L’analisi ha fornito informazioni dettagliate sull’aspetto e sulle funzioni corporee di Ötzi, nuove conoscenze sulla sua origine e discendenza, oltre che indicazioni sulle malattie o sulla predisposizione a determinate patologie. L’indagine genetica ha rivelato, ad esempio, che aveva occhi marroni e apparteneva al gruppo sanguigno 0 positivo.
Intolleranza al lattosio, borreliosi e Helicobacter pylori
È emerso inaspettatamente che l’Uomo venuto dal ghiaccio aveva una predisposizione genetica ad alcune malattie, in particolare a un elevato rischio di patologie cardiocircolatorie che, se non fosse morto anzi tempo per il colpo di freccia, lo avrebbero reso soggetto a infarto o a ictus. I suoi geni rivelano inoltre che era intollerante al lattosio, ovverosia non riusciva a digerire lo zucchero del latte, come presumibilmente la maggior parte dei suoi contemporanei.
Nel genoma di Ötzi si sono potute rilevare anche tracce di borrelia, un batterio trasmesso dalle zecche che causa la malattia infettiva nota come borreliosi di Lyme. Questa scoperta costituisce in assoluto la più antica attestazione di tale patologia e dimostra che già 5000 anni fa le zecche rappresentavano un pericolo per uomini e animali.
Nel 2016 è stato possibile individuare nel contenuto dello stomaco di Ötzi il batterio Helicobacter pylori, di cui oggi è portatrice metà della popolazione mondiale e che può causare ulcere gastriche. Si tratta finora della più antica attestazione di questo batterio. Con sorpresa del team di ricerca il suo ceppo è più simile a quelli presenti in Asia centrale e meridionale che a quello europeo attuale. La commistione di ceppi africani e asiatici che caratterizza il batterio europeo si è dunque probabilmente verificata solo dopo l’epoca di Ötzi e rivela per il popolamento del continente europeo una complessità maggiore di quanto finora ritenuto.
L’origine di Ötzi
La ricerca sul patrimonio ereditario dell’Uomo venuto dal ghiaccio ha fornito informazioni relative alla linea genetica sia della madre sia del padre. Per via paterna Ötzi appartiene a un sottogruppo dell’aplogruppo G2a2b (G2a-L91), oggi molto raro nel continente europeo (>0,1%) e ancora riscontrabile con una certa frequenza soltanto in Sardegna e in Corsica. Se ne deduce che l’Uomo e gli abitanti di queste due isole ebbero antenati comuni, migrati in Europa dall’Oriente durante il Neolitico. Nel corso del tempo, in ampie parti del continente i rappresentanti di questo gruppo sono stati soppiantati o si sono mescolati con altri gruppi etnici e soltanto nelle isole del Mediterraneo lontane dalla terraferma la popolazione originaria si è potuta conservare fino ad oggi in percentuale più consistente.
Per parte di madre l’Uomo venuto dal ghiaccio appartiene all’aplogruppo K1f, un sottogruppo di K1 attestato solo nelle Alpi centrali e oggi estinto.
Oltre un decennio fa molti di questi risultati sarebbero stati impensabili e appare evidente che il lavoro scientifico sull’Uomo venuto dal ghiaccio è ancora lontano dall’essere concluso. Nuove tecnologie solleveranno altre problematiche e ci consentiranno uno sguardo ancor più dettagliato nella vita di quest’uomo. Non tutti i segreti di Ötzi sono stati ancora svelati e invitano i visitatori del museo tanto quanto i ricercatori accademici a porsi delle domande. Perché era in cammino? Perché è stato ucciso? Perché la sua ascia non è stata portata via? Era solo? Come viveva e con chi? Domande che mostrano come in questa sede l’archeologia abbia, nel vero senso della parola, ricevuto un volto e riesca a coinvolgere tutti attraverso il destino di uno solo.